Il tanto desiderato “doppio turno” delle elezioni politiche ha azzoppato la ”monarchia repubblicana” della Francia. Anche in Francia, bisognerà dunque tornare alla politica, ovvero ai compromessi, alle intese e agli accordi tra partiti.
Il termine e il concetto di “partiti” è stato abiurato, se ci fate caso, quando – oltre alla vicenda mediatico giudiziaria (impropriamente chiamata “Mani Pulite”) che ha punito i partiti anche per i loro errori e per la loro viltà – si è fatto avanti l’inno del liberismo, in economia, in politica, nella vita sociale: privato è bello, il mercato libero e senza interventi pubblici, l’individuo prima di tutto; Stato, politica, socialità e partiti come il negativo assoluto.
Quando gli eredi di Berlinguer (quelli che avevano rinnegato il suo monito “non si governa con il 50% + uno dei voti”) si sono messi insieme con il democristiano di destra Mariotto Segni, avevano preannunciato dei risultati sicuri col sistema maggioritario, ovvero che gli elettori avrebbero deciso gli eletti e il governo, vi sarebbe stata la diminuzione della frammentazione politica e la stabilità dei governi. Risultato: erano tutte balle, balle dimostrate dalla storia di questi trent’anni.
Pensate che alla Camera dei deputati sono rappresentati 19 “partiti” (si fa per dire) e al Senato 14. Il Gruppo Misto ha 85 deputati e 39 senatori, risultato dei cambi di casacca : in totale il 13% dei parlamentari. Tanto per dare un metro di paragone, nel PD ci sono 97 deputati e 39 senatori, pari al 14% dei parlamentari.
Inoltre, per far contare di più l’elettore, in questi anni, ci hanno tolto le preferenze, ci hanno preparato il piattino delle liste bloccate, con candidati ed eletti decisi dalle congreghe di corrente o dal capocorrente di turno. E tu devi votare chi vogliono loro per non far vincere l’avversario !
Intanto, in nessuna democrazia occidentale, si è avuto un turbinio di leggi elettorali come quelle che abbiamo avuto in Italia: quattro in trent’anni, (una peggio dell’altra, e tutte fatte per garantire la vittoria per questo o quel raggruppamento) e una quinta da fare entro il 2023. Dal 1993 abbiamo avuto il Mattarellum (sistema maggioritario con quota proporzionale), il Porcellum-Calderoli (sistema proporzionale con premio di maggioranza, e che dopo le elezioni del 2013, la Corte Costituzionale bocciò per l’assenza di una soglia per far scattare il premio di maggioranza, per la lunghezza delle liste bloccate e per la mancanza dei voti di preferenza), poi l’Italicum (bocciato dalla Corte Costituzionale), e infine il Rosatellum.
Diciamo inoltre che non si è mai visto, nel mondo occidentale, democratico, un Parlamento che nella stessa legislatura vota due differenti leggi elettorali. Un record mondiale!
Prendete l’ultima: il “Rosatellum” doveva assegnare la vittoria al raggruppamento che raggiungeva almeno il 40%. Ma siccome nessuno ha superato quella soglia, non si è andati, per osservanza dei criteri e dei principi di quella legge elettorale, a dare l’incarico al primo raggruppamento, poi al secondo e poi al terzo, e infine a nuove elezioni, se nessuno fosse riuscito a combinare un governo. No, si è andati avanti con la peggior legislatura della storia repubblicana, prima con un governo inimmaginabile giallo verdenero, con un presidente del consiglio preso per strada, poi con lo stesso apprendista presidente a capo di un governo giallo rosa. Poi, finalmente, si è andati (sconfiggendo i tentativi del PD e delle 5S di avere i “responsabili” per tenere in piedi il Conte II) a un governo di “intesa nazionale” con l’auspicato salvatore della baracca.
E nessuno del Pd (parlo di una forza che si proclama di “sinistra”) si pone il problema che, pur essendo al governo dal settembre 2019, rimane a una incollatura nei sondaggi elettorali da Fratelli d’Italia (a seconda delle giornate, primo o secondo partito d’Italia!). I sondaggi non sono per me il verbo, ma tuttavia indicano una tendenza, che in questo caso a me preoccupa. Non mi è sembrato geniale fare diventare Conte il leader dei progressisti, l’alleato del futuro, e nel contempo demonizzare la Lega (invece di sottolineare le differenze tra Salvini e la Lega di governo) per far diventare più forte Fratelli D’Italia. Preferisco dialogare con la Lega (e metterla di fronte alle sue contraddizioni) che governa tutto il Nord, piuttosto che lasciare che crescano gli eredi del MSI. Comunque, – per inciso – sarebbe cosa buona e giusta, fare una politica per dividere il centrodestra e isolare FdI, sul piano politico, sociale e culturale.
Non è che dal 1994 abbiamo avuto una stabilità di governo tale da dimenticare la prima repubblica. La vicenda delle leggi elettorali in Italia, negli ultimi trent’anni, è la manifestazione palese della confusione politica, che trascina con sé il deterioramento delle istituzioni democratiche. Abbiamo avuto dal 1946 al 1993 un sistema proporzionale con cui abbiamo votato per undici elezioni del Parlamento e per i Consigli comunali, regionali e provinciali. In questo periodo l’Italia è passata dalla condizione miserabile del dopo guerra ad essere una delle dieci più grandi economie del mondo.
Dal 1994 stentiamo a stare al passo con gli altri Paesi, siamo sempre tra recessione e stagnazione, ma grazie a un sistema fiscale che fa acqua da tutte le parti, ai condoni, alle sanatorie, alla furbizia elevata a virtù civica, all’assistenzialismo di Stato, e nonostante la presenza dominante della criminalità organizzata in quattro regioni del sud, il Paese sta a galla e gli italiani se la cavano, indifferenti al caos politico che loro stessi contribuiscono a generare.
Sia chiaro, non è colpa degli italiani, ma delle élite politiche e culturali, dei mass media, delle vere “caste” esistenti, che dal 1993 hanno diffuso a piene mani il disprezzo nei confronti della politica e hanno proposto agli italiani varie scorciatoie fasulle, per uscire dal marasma.
A settembre 2020 il popolo italiano vota la riduzione dei parlamentari e tutti i partiti promettono una nuova legge elettorale. A febbraio 2021, per salvarsi e conquistare i “responsabili”, i partiti del governo Conte (PD compreso) promettono una legge proporzionale. Poi arriva Letta e propone di tornare al Mattarellum (mah!?). E siamo ancora qui ad aspettare la legge elettorale per le elezioni del 2023, fra meno di un anno.
Tempo fa ho sentito alla radio (Zapping) un tale della segreteria del PD, che affermava che la legge elettorale non si fa in funzione della democrazia e delle istituzioni, della Costituzione, scegliendo tra democrazia parlamentare rappresentativa e potere esecutivo. No, secondo questo esimio rappresentante del PD (testualmente) “ la legge elettorale è molto in relazione con il tipo di alleanze che si costruiscono. Se si fanno alleanze “leggere”, si fa un sistema proporzionale, e vuol dire che devi cercare in Parlamento le forze per governare. Se, come vuole anche Letta, fai una coalizione, una alleanza più forte, più strategica, hai due schieramenti e allora si va al maggioritario”. Non contento, ripete “la legge elettorale dipende dal tipo di coalizione che si fa, e comunque il sistema maggioritario è da sempre nel DNA del PD”. Infatti il PdS ci ha regalato Berlusconi, la Lega al governo e lo sdoganamento del Ms; poi il Pd è nato da e per una “democrazia plebiscitaria” : vi ricordate le famose “primarie” per la investitura di uno noto esponente della DC, privatizzatore di tutte le aziende pubbliche, da parte del “popolo” della sinistra o per nominare un teorico del Partito “leggero”, (ovvero del partito in cui contano solo lui e i suoi mentori di Repubblica, e in cui gli iscritti non dibattono e non contano nulla).
In conclusione, un partito che si affida alla legge elettorale per la sua sopravvivenza, è un partito che rinuncia a fare politica, a conquistare consenso anche nel settore sociale e culturale moderato. Pensa solo che la “gggente” lo voti per contrastare la destra. Ma come nel 2018, e in altre elezioni, la cosa non funziona.
Piuttosto che fare politica, fare proposte valide per le forze produttive del Nord e non ripetere le solite litanie assistenzialistiche per il Sud, ci si aggrappa alla quinta legge elettorale in trent’anni, calibrata sulla possibilità di battere l’avversario politico.
Nessun Paese occidentale – lo ripeto – ha prodotto tante leggi elettorali in trent’anni e poi non chiediamoci perché siamo diventati il Paese più assistito dall’Europa: all’instabilità di governo si accompagna la instabilità politica.
Una volta ci insegnavano nelle sezioni del PCI, che fare politica significa anche disarticolare l’avversario, separare moderati, conservatori e reazionari. È roba del passato; oggi ci si affida alle leggi elettorali, e allora avanti con un’altra legge elettorale, che magari farà ricompattare il centrodestra.
Ma tanto, l’esperienza di questi anni non serve a nulla: a Roma si pensa solo ai posti nel Palazzo, alla Rai, a Roma Regione, all’Alitalia, a Taranto con tremila in cassa integrazione ( tanto per accontentare Emiliano e le 5S) e si sostengono decisioni autopunitive per il nostro Paese e la economia italiana (no al nucleare, no alle auto termiche).
In 48 anni della “prima repubblica (dal 14 luglio 1946) abbiamo avuto 45 governi con una media di 13 mesi di durata; in 27 anni (dall’11 maggio 1994) abbiamo avuto 16 governi con una media di 20 mesi: Draghi è il diciassettesimo governo della “seconda repubblica”.
Ma va bene così; in fondo, Draghi è una parentesi, poi sarà bello tornare con le 5S, o con una parte di esse, in una coalizione “forte”. O magari avere un governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni.
E la cosa triste è che, dopo tutte le sciocchezze commesse, qualcuno chiederà il voto per impedire la vittoria della destra, che lui stesso – con la sua insipienza e la sua scellerata politica – ha favorito.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(giovedì 7 luglio 2022 – come sta la democrazia 2 – le leggi elettorali)
Concordo. E cerco anche di dirlo o scriverlo. Inascoltato per la verità
Assolutamente d’accordo!