Vorrei riprendere il filo di un ragionamento delicato. Esso tocca un elemento tabù, patrimonio della nostra storia militante e baluardo delle nostre paure, guardando avanti: la democrazia.
Eppure siamo riusciti in passato a collocare nella giusta dimensione storica grandi parole, come marxismo/leninismo, comunismo, capitalismo, imperialismo, colonialismo, lotta di classe, forse anche socialismo e fascismo. Temi e parole simbolo di successive definizioni di realtà sociali, economiche e politiche che nei decenni sono cambiate e hanno avuto bisogno di nuove intuizioni, consapevolezze e verità. Il problema è che noi in buona fede ne abbiamo riconosciuto sì il superamento, ma non abbiamo avuto la capacità di generarne di nuove che ci aiutassero ad aggregarci dietro una attualizzata interpretazione della realtà ormai consolidata nel suo fluttuare, capace di sfuggire alle definizioni perché’ mimetizzata nei ping pong mediatici, nella mala informazione ignorante o peggio.
Mentre le strategie globalizzate dei grandi poteri volano alte sopra le teste di miseri dibattiti caserecci tra leader senza visione, spesso corrotti o speranzosi di divenirlo. Sorvolo sul mostro Europa, un’altra riflessione per una prossima volta, tema già da me affrontato in passati interventi sul “Migliorista”.
Oggi constatiamo che dobbiamo fare i conti col fatto che la democrazia è un sistema superato che non è più in grado di garantire il “comando del popolo” . Fuori da ogni retorica, la democrazia si è organizzata in un sistema basato sulla delega per elezione di rappresentanti della/delle volontà popolari e dei loro interessi, che riuniti in Parlamento, eleggessero un Governo anche di coalizione, espressione della maggioranza degli italiani, che tuteli gli interessi di tutti. Anche della minoranza.
Bene, questo meccanismo si è inceppato. È sotto gli occhi di tutti come la democrazia (non solo in Italia), generi oggi il proprio paradosso: si può liberamente eleggere un dittatore, si può liberamente eleggere un governo che non rappresenta affatto gli interessi del paese ma è complice subdolo di altri interessi che lo guidano e schiacciano foraggiandolo. Ma siamo in democrazia, quindi abbiamo il diritto di …lamentarci: l’unica arma che sembra rimasta a disposizione per la nostra partecipazione alla “vita democratica”: il lamento. Ma sì, a volte anche la rabbia, ma solo quando si avverte “la gabbia”, ovvero la sensazione certa della nostra impotenza, chiusi e controllati come siamo dalla gabbia democratica in cui siamo chiusi e che abbiamo aiutato a costruire. Inconsapevoli incoscienti, rassicurati dalla democrazia invocata da rutti.
In Italia esistono certamente le risorse umane intellettuali con la giusta esperienza per enucleare un nuovo “sistema” con cui la democrazia possa tornare ad esprimere il suo compito originale. Ma queste risorse giacciono sole, inascoltate, forse anche stufe, deluse e scettiche, ferite e depresse. Sbaglio o bisognerebbe mettersi a studiare un sistema di rappresentanza, una nuova legge elettorale, che blindi la rappresentanza?
Un sistema che parta da cellule, sezioni nel cui dibattito si formino i “delegati”, con una campagna elettorale fatta così, all’interno di luoghi ove dibattere e conoscersi, non nelle piazze. Si potrebbe ipotizzare di cominciare così, da una ipotesi di nuove regole del sistema democratico che riparta dalla scelta del “delegato”? Senza manifesti elettorali, comizi… tanto dicono tutti le stesse cose: priorità lavoro, salute, pensioni, scuola, sicurezza, persino lotta all’evasione, digitalizzazione dello Stato, semplificazione della burocrazia. Certo i temi sono questi, lo ricorda bene Berlusconi che quando fece la sua prima campagna con manifesti 6×10 nel ‘94, rubò proprio questi temi alla sinistra e vinse le elezioni. Vero è che la sinistra giocò tutto sul conflitto d’interesse e se la prese nel sacco. Per anni. Peraltro senza mai proporre una legge che lo regolasse quando ci furono le occasioni delle alternanze.
Vero è anche che quando esistevano le sezioni di partito e le cose cominciavano ad andare bene (il PCI oltre i 9 milioni), stava per nascere il “compromesso storico”, fu rapito e ucciso Moro per bloccarlo, poi scoppiò il terrorismo. Vero che dopo Craxi, il risultato di “mani pulite” fu il Berlusconismo (altri paradossi democratici), fino all’evaporazione progressiva della sinistra italiana in successive fasi di mutamenti di leaders, strategie, nomi e simboli, comunque sempre più staccati dalla realtà di una base elettorale attonita che si accaniva a votare quello che secondo lei, solo secondo lei, aveva ancora qualcosa di sinistra. E ad una alternanza di governi non proprio votati, ma sostenuti dall’Europa perché davano più certezza sulla sudditanza dell’Italia agli interessi d’oltralpe di quanta ne desse una destra in difficoltà.
A me sembra che siamo in un buon momento, la gabbia ha un cancello. La gabbia ha le sbarre e possiamo guardare fuori. Poi nella gabbia ci stiamo già tutti, non siamo ognuno nella sua, isolati. Siamo già insieme, un punto di partenza forte.
Io non sono un giurista, un costituzionalista, nemmeno un avvocato né fortunatamente un politico. Sono un libero professionista e un piccolo imprenditore senza il prosciutto sugli occhi, che si è accorto che il cancello non è chiuso a chiave.
Che fare? Possiamo avviare un richiamo al lavoro intellettuale delle risorse rarefatte che non sono ospiti di talk shows, di testate complici, di frotte di consulenti governativi strapagati? Se non se ne può più, qualcosa bisogna cominciare a fare.
E poi, un sistema che preveda già che si sappia dove vanno a finire i soldi stanziati per es. dal Governo Conte già a marzo per rinforzare le strutture ospedaliere (spariti?) per non parlare del miliardo e 400 milioni (se ricordo bene) erogati in primavera sempre per la sanità e liberati da Arcuri con due mesi di ritardo… ma finiti dove??? Possibile che non ci sia un modo in un nuovo sistema democratico di esercitare un controllo?
Stanziamo una percentuale esentasse di quanto erogato dallo Stato per la corruzione? Certo è una provocazione, ma stiamo a mente aperta, non nascondiamoci dietro la retorica democratica perché abbiamo già visto dove ci ha portato.
Fabrizio Ferri
(venerdì 13 novembre 2020)
Ottima analisi